Si può
In queste ultime settimane ho avuto più occasioni del solito, ahimè, per riflettere sul tema dell'emarginazione e della scarsa accettazione del diverso.
Un tema purtroppo oggi all'ordine del giorno in Italia e molto diffuso ad ogni livello della società. Non c'è livello culturale, economico o sociale che tenga: di fronte a qualcosa di nuovo, di strano o di diverso dalla norma, la paura, il disgusto e la negazione sono ancora le reazioni più comuni e probabili.
I genitori di bimbi speciali sanno cosa vuol dire entrare in un negozio con un bimbo autistico "recalcitrante" o andare ad un "semplice" festa in ludoteca. Conoscono lo sguardo smarrito della vicina di casa che si ostina a chiedere "come ti chiami?" a tua figlia e resta confusa alla tua risposta "Alessandra non parla".
Riflettendo su cosa spinga un genitore di un bimbo normotipo a ritenere pericolosa la presenza in classe di suo figlio di un compagno autistico (almeno più pericolosa della propria stessa presenza nella vita del figlio) o il rifiuto di un insegnante di cercare una strategia educativa per insegnare un allievo autistico a stare seduto per almeno mezz'ora acquisendo un controllo educativo fondamentale per qualsiasi altro tipo di attività e per la stessa permanenza a scuola (sarebbe interessante, poi, sapere perchè tale insegnante vada a lavorare....oltre che per percepire lo stipendio), il mio pensiero si è fermato su un'altra cosa. Apparentemente diversa ma strettamente collegata a questo tipo di emarginazione e ingiustizia.
Credo che la forma più grave di emarginazione avvenga in famiglia. Che siano molto spesso i genitori ad emarginare i propri figli. In un modo totalmente diverso e innocente, dettato da tutt'altri sentimenti, ma sostanzialmente simile.
La mamma che tiene strette le mani della sua bimba nelle sue per evitare che si noti lo sfarfallio...la sta emarginando.
Il papà che non racconta ai parenti o agli amici che il proprio bimbo ha un handicap...lo sta emarginando.
Non c'è nulla di malvagio o diabolico o di errato, anzi nasce tutto la sentimenti naturali, sani, condivisibili.
E' l'amore, il desiderio naturale di protezione dei propri figli.
E' la difficile accettazione della disabilità. Un'accettazione dura, lenta e che non si acquisisce mai del tutto.
E' l'incapacità di poter gestire tutto contemporaneamente.
E' il desiderio legittimo a volersi conformare agli altri, captandone in questo modo la benevolenza.
E' la difficoltà a immaginare il futuro.
E' il manuale d'istruzione che non ti consegnano né ti dicono dove trovare.
Questo mood mentale però alla lunga produce danni. In primis ai bimbi che ne sono oggetto perchè vengono loro precluse delle possibilità, poi alla persona - o persone - che mettono in atto i comportamenti perchè non vivono a pieno l'avventura di essere genitori.
Perchè, tanto per fare degli esempi di fantasia, se non si lascia partecipare ad una festa un bimbo per paura che gli altri ospiti possano notarne la disparità di comportamento rispetto ai pari o semplicemente per evitare al bimbo di essere lasciato in disparte durante il gioco...si perde un'occasione. Quella di scoprire che esistono persone che non solo accettano, ma anzi aiutano a "gestire" la disabilità in un ambiente tanto rigidamente strutturato quanto una festa in ludoteca. Quella di scoprire che, dopo la prima festa, il bimbo ricorda cosa accede in quel posto pieno di palline e colori e suoni e voci e la seconda volta si lasci coinvolgere maggiormente in qualcosa a lui, ora, noto. Quella di scoprire che tutti i bimbi fanno capricci o danno preoccupazioni ai propri genitori e che non si è delle mosche bianche.
La cosa più importante per un genitore di un bimbo autistico è capire e credere che "si può fare". Certo mettendoci il doppio o il triplo del lavoro, facendo rinunce, ri-organizzando la propria esistenza, prestando continuamente attenzione a ogni cosa e soprattutto mettendo in conto di poter anche non riuscire. Ma "si può fare".
Si può andare a mangiare una pizza in un ristorante mediamente affollato.
Si può fare un bagno in piscina.
Si può accettare un invito a giocare insieme.
Si può.
Acquisire questa consapevolezza è il punto di partenza per una vita nuova.
Che non vuol dire credere all'utopia che si esca dall'autismo, ma che si possa vivere serenamente e felicemente anche con esso. Che si possa dare ai propri figli una vita piena di sorrisi e di energia. Una vita dignitosa perchè priva di pre-giudizi e colma di possibilità.
"Si può" vuol dire mettere in atto un circolo virtuoso di pensieri e di azioni positive che sono indispensabile per i progressi dei bambini. Perchè a cosa possono servire 8, 10, 12 o 18 ore di terapia a settimana se a casa (dove i bimbi vivono!) o a scuola o al parco o in vacanza non si ha il coraggio di mettere in campo non solo il programma in corso ma anche osare qualcosa di nuovo?
"Si può" vuol dire ignorare con disinvoltura gli sguardi esterrefatti di fronte ai "bru bru" detti al posto delle parole di una bimba di 5 anni che non parla.
"Si può" vuol dire permettersi il lusso di non credere a chi dice che "sarà difficile togliere il pannolino ad Alessandra" e semplicemente...riuscire a farlo.
"Si può" vuol dire pensare e pensare a cosa organizzare di nuovo per ampliare le occasioni di socializzazione di Federica. E così fare entrare nella difficile organizzazione settimanale anche attività extra come la danza o la musica.
Quanto siamo grati agli amici di Alessandra e Federica, ai loro meravigliosi genitori e ai loro volenterosi insegnanti? Immensamente. Ogni giorno immensamente grati.
A Caterina che elogia Alessandra quando la vede per la prima volta partecipare a un gioco in ludoteca. Le dà una pacca sulla spalla e le dice "brava Ale" e io trattengo a stento le lacrime.
A Manu che si lascia prendere per mano da Federica e le spiega che "non sono i cani ad essere maleducati ma i padroni che non puliscono la strada dopo che i cani hanno fatto la cacca". Io, dietro di loro, sorrido e penso che Fede, che molto probabilmente non ha capito molto di questa frase così articolata, ha ricevuto una bellissima lezione vita.
Alla maestra Imma che, tra tutte le incredibile cose che fa ogni giorno, si commuove a vedere Alessandra usare per la prima volta nella sua vita il wc a scuola.
Te lo vorrei proprio spiegare, mamma del bimbo normotipo, che il coetaneo che al posto di dire "stamattina ho paura a iniziare la scuola in una classe che non conosco" si butta per terra e strepita non solo non è pericoloso o di cattivo esempio, ma è addirittura utile al tuo bambino. Utile per aprirgli il cuore, la mente. Utile per insegnargli i concetti di "prendersi cura", "aiutare", "avere pazienza" Utile a conoscere la diversità che domani incontrerà nel mondo.
Te lo vorrei proprio spiegare e forse ci proverò quando il disgusto mi avrà lasciata e avrò anche io imparato ad accettare te e la tua diversità.