The Accountant - Perché del film di azione a colpirmi non sono state le pallottole
Qualche settimana fa, insieme a mio marito, ho guardato in tv “The Accountant”, film d’azione con Ben Affleck da cui, tutto mi aspettavo, tranne che di ricevere stimoli di riflessione in merito all’autismo.
La pellicola, in cui non mancano scene d’azione e di violenza piuttosto crude e colpi di scena alquanto surreali, parla della vita e del lavoro di Christian Wolff, soggetto affetto dalla sindrome di Asperger altamente funzionale.
I cruenti omicidi e i combattimenti a corpo libero non hanno in nessun modo colpito la mia attenzione che è stata subito focalizzata sugli aspetti – a dir il vero appena accennati e trattati in alcuni casi con troppa superficialità, ma non sono qui per fare una critica cinematografica! – relativi all’autismo.
La preoccupazione dei genitori di Christian che lo portano da uno specialista perché il bambino non si comporta in modo “normale”, il modo in cui Christian ripone e usa metodicamente gli oggetti quotidiani, la chiusura di Christian verso i rapporti sociali…tutto di Christian dice “sono autistico” secondo un clichè piuttosto ovvio e molte volte visto in tv e al cinema. Uno stereotipo che tende a fossilizzarsi sul binomio “autismo-genio” che nulla dice veramente dell’essere autistici o tantomeno del significato di vivere accanto a soggetti con autismo.
Però, e c’è un però bello grosso, questo film mi ha colpito molto per la parte finale che mi ha lasciato uno strano sapore in bocca e tante cose a cui pensare la notte (cosa non fa la mente di notte?!?) e nei giorni seguenti.
Il medico che ha avuto in cura Christian fa una breve presentazione del suo ente operante nel campo delle neuroscienze e parla del mondo delle persone autistiche.
Ora, al di là delle considerazioni sul valore cinematografico del film e sulla semplificazione fatta del tema autismo, quello che dice è fondamentalmente vero ed è degno di riflessione.
“In questo paese viene diagnosticata una forma di autismo a 1 bambino su 68. Ma se per un attimo mettete da parte quello che il vostro pediatra e tutti gli altri NT vi hanno detto su vostro figlio… NT sta per neurotipici, non autistici… Se ci fossimo sbagliati? Se avessimo fatto i test sbagliati nel quantificare l’intelligenza dei bambini affetti da autismo?
Vostro figlio non è inferiore agli altri, è diverso. Le vostre aspettative su di lui potranno cambiare nel corso del tempo, potrebbero includere un matrimonio, dei figli, l’autosufficienza. O forse no.
Ma se lasciano che sia il mondo a stabilire le aspettative per i nostri figli, queste saranno scarse, non avranno crescita.
Forse vostro figlio può fare di più di ciò che sappiamo e forse, dico forse, semplicemente non sa come dircelo o forse noi non abbiamo imparato ad ascoltarlo.”
Per portare un bambino autistico nel nostro mondo dobbiamo andare a prenderlo nel suo: siamo noi che dobbiamo capire (sperimentando, fallendo, riprovando e ripetendo ancora, ancora e ancora) qual è l’aggancio giusto per entrare in comunicazione con lui, qual è il rinforzo migliore per far sì che apprenda nuove abilità, qual è la chiave esatta per scalfire la sua corazza.
Fare questo significa fornire al bambino gli strumenti giusti (di cui non è naturalmente dotato) per interpretare in mondo in cui si trova – il nostro, non il suo – dal punto di vista sociale e comunicativo.
L’ho scritto spesso e lo ripeto: “insegnami a imparare” è quanto “chiede” un bambino autistico che semplicemente non ha alcun tipo o ridotte funzionalità per affrontare gli aspetti più banali della vita quotidiana. Quegli aspetti che noi diamo per scontati, che agli altri bimbi vengono “normalmente” senza doverci stare su a pensare, che gli insegnanti si aspettano di trovare già “belli e pronti” per lavorare su abilità superiori.
Insegnami a toccare gli oggetti, cosicché io possa farlo da solo in modo autonomo per giocare, scoprire l’ambiente in cui vivo, affrontare e risolvere piccoli problemi.
Insegnami a impugnare le posate, cosicché io possa mangiare da solo.
Insegnami a tenere in mano il bicchiere e portarlo alla bocca, cosicché io possa bere autonomamente.
Insegnami a strutturare un sistema di comunicazione verbale oppure non verbale, cosicché io possa comunicare al mondo i miei bisogni e esprimere le mie emozioni.
Questo è il lavoro che stiamo facendo e che continueremo a fare.
Infine, ci sarebbero tante domande da farsi sul perché a fine giornata una mamma (stanca!) che sta guardando un blockbuster americano con un attore figo inizi a soffermarsi proprio su questi aspetti del film e faccia voli con la mente da tutt’altra parte. Ma forse non c’è proprio nulla da spiegare: l’ho capito io e l’avete capito anche voi… questa cosa ha a che fare con me.
E a ridosso del 2 aprile – Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo – è bello sognare un mondo che – a differenza di quanto è, purtroppo, nella realtà – sia pronto a colloquiare e interagire alla pari con un bambino, un adolescente e un adulto autistico.